BUKKOSAN ZENSHINJI ED ENGAKU TAINO

Perchè Bukkosan zenshinji (Scaramuccia)?

Ora che lo zen rinzai si sta diffondendo a livello periferico, supportato da praticanti formati al Bukkosan zenshinji, possono ben venire spontanee alcune domande, a chi pratica lontano da Orvieto e non ha mai avuto contatti con Scaramuccia, – “ma che tipo di esperienze ha fatto chi ci guida ? come si è caratterizzata la sua formazione negli anni ? Perchè lo zen rinzai e non altre tradizioni?”
Fatta salva l’individualità del percorso di ognuno, è pure vero che ci sono dei dati comuni che hanno accompagnato nella loro formazione coloro che si sono formati alla scuola del Bukkosan zenshinji.
Per affrontare queste tematiche bisogna però risalire indietro negli anni e non di poco…dunque… circa 40 anni fa. Allora tornò dal giappone Engaku Taino, dopo un lungo periodo di pratica nel monastero di Shofkuji durante il quale ebbe modo di vivere in stretto rapporto con il suo maestro Yamada Mumon.
( Chi volesse saperne di più dalle sue stesse labbra, vada a vedersi i filmati e le interviste presenti sul sito).
Intorno a lui si coagulò rapidamente un gruppo di persone accomunate dalla passione per la montagna e la curiosità per questa pratica “esotica”.
Taino seppe essere molto sensibile alla diversità di situazione che si creava man mano che lo zen veniva elaborato in un paese occidentale.
Molti usi e costumi marcatamente giapponesi furono abbandonati in favore di una pratica molto più flessibile (benchè dura) .
Scaramuccia si trasformò da “monastero” a “luogo di pratica”.
Gli abiti monacali furono messi in soffitta.
L’adesione, come succede ancora oggi, non prevedeva nessun tipo di obbligo se non la condivisione dei voti per il sociale e dei voti del bodhisattva.
I capisaldi che permisero lentamente la diffusione dello zen rinzai in Italia sotto la guida di E. Taino furono, in estrema sintesi, i seguenti:
A) una pratica senza lo strutturarsi di una religione. Anzi, la scelta di evitare l’aspetto devozionale e di adorazione che si verifica quasi inevitabilmente in ogni comunità “spirituale”.
B) la gratuità ( solo la sesshin prevede una offerta di minima entità)
C) la buona fede e la coerenza della guida spirituale
D) la totale assenza di settarismo e proselitismo
E) la semplicità intesa come eliminazione delle sovrastrutture del pensiero per quanto riguarda il mentale e la vita parca per quanto riguarda la vita fisica.
F) la completa libertà di elaborazione del proprio insegnamento
G) il fatto che in più di 40 anni di esistenza di Scaramuccia quanto sopra non sia mai stato smentito dai fatti.

Senza dubbio molte di queste caratteristiche afferiscono direttamente allo zen rinzai che si è affermato in questo modo dopo centinaia di anni di elaborazione, tuttavia l’apporto innovativo di E. Taino e la sua fermezza nel mantenere fermi i punti “per una pratica che sia universale e deorientalizzata” sono indiscutibili.

Dunque, perchè contribuire alla diffusione di questa pratica?
La prima riflessione è che, una volta compiuto il lungo percorso dei koan (dai 10 ai 15 anni in media), il praticante dovrebbe avere in sé tutte le potenzialità per esprimere una totale “compassione” verso tutti gli esseri senzienti. Quale modo migliore se non quello di creare nuovi piccoli sangha con chi “vuole vedere e sentire” ?
La seconda riflessione è che lo stesso percorso dei koan porta nella direzione della condivisione della propria realizzazione.
Non a caso nella nostra scuola la successione dei “casi pubblici” prevede prima la risoluzione dei koan kensho( quelli che portano il praticante a identificarsi nell’assoluto) a cui seguono tanti koan la cui soluzione obbliga a misurarsi con il relativo in tutte le sue forme.
La terza riflessione è che il buddismo sembra proprio essere la risposta adeguata ai disagi esistenziali del mondo attuale. La sua concretissima astrazione, il suo misticismo agnostico sono ossimori che danno conto delle sue infinite possibilità di applicazione nella quotidianità , data una realtà ( virtuale, diciamo così) che chiede continuamente di essere “svelata”, pena la disperante fatica di vivere inseguendo infiniti attaccamenti.
La quarta riflessione è che nella nostra tradizione, più che in altre, si valorizza il detto “se incontri il buddha uccidilo, se incontri il tuo maestro uccidilo”
Per ogni praticante è motivo di grande tranquillità il sapere che la guida a cui fa riferimento ha come primo obbiettivo quello di “autoestinguersi”,facendo prevalere l’essere maestro dell’allievo. Le frequenti esortazioni all’ essere maestri a sé stessi possono arrivare anche a livelli di rudezza elevati, in omaggio all’essere molto diretti  ma mai saranno occasioni di prevaricazione!
La quinta riflessione è che ogni praticante novizio può scegliersi il sangha che vuole e questo atto di libertà non è solo a suo favore ma anche a favore di chi lo guida
Gli allievi potranno essere tanti o pochi o nessuno. Potranno andare e venire. Praticare assiduamente o sporadicamente. Cambiare frequentemente maestro o non cambiarlo mai Basti la coscienza che ognuno nei propri ruoli (guida o praticante) sappia “bastare a sé stesso.”
La sesta riflessione è che ovunque si pratichi, almeno qui in Italia, il rapporto diretto con Scaramuccia è sempre possibile (e augurabile) sia durante le sesshin che nei giorni normali così che anche chi pratica lontano da Orvieto può andare a “respirare l’aria” del nostro luogo di pratica originario!

Pubblicato da zenrinzairoberto

nato a Trieste 12.1.47, residente da 2 anni in Tunisia, pediatra in terapia intensiva neonatale fino al pensionamento, successivamente in missioni all'estero come medico: Zimbabwe, India, Pakistan, Afghanistan. Pratica zen rinzai da 30 anni presso il bukkosan zenshinji di Orvieto, guida spirituale M° Taino già allievo di Yamada Mumon Roshi Qualche annofa, dopo aver terminato il percorso formale (che non finisce mai e forse...mai inizia) ho scelto l'ordinazione monacale. Nonno sei volte. Padre tre volte. Sposato una volta.

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