esortazione effettuata a fine ottobre 2020

I PADRI DEL DESERTO: vengono così denominati gli appartenenti ad un movimento eremitico cristiano che si diffuse nel quarto secolo nell’asia minore. Evagrio pontico fu uno di essi ed ebbe il merito di mettere per iscritto i loro pensieri e le norme di comportamento. Si soffermò spesso, a questo proposito, su uno dei vizi capitali che da tempo sono un po’ negletti e nell’ombra: l’accidia

dice Evagrio: “l’accidia è una amica eterea, un andarsene a spasso, odio dell’operosità”

o ancora: “il monaco accidioso è pigro nella preghiera. Come un malato non può portare un fardello pesante, così l’accidioso non compie l’opera di dio”

Come classificare l’ accidia? insofferenza/cura eccessiva della salute del corpo/avversione per lavoro manuale/negligenza delle osservanze/scoraggiamento generale-noia sono le definizioni che ne vengono date.

Come si può declinare noi nello zen questa tendenza passivizzante?

Abbiamo un koan che definisce bene questo atteggiamento: quello del bimbo che arrampica: se sto su voglio stare giù, se sto giù vorrei stare su.

Risultato: non identità in quello che si sta facendo, disattenzione.

DHAMMAPADA «La pienezza mentale è la via verso il senza-morte

la distrazione, la spensieratezza è un sentiero di morte,

chi è consapevole è totalmente vivo

chi è distratto è come fosse già morto».

Bene! Questa è la definizione di uno stato d’animo che si presenta spesso anche nei migliori praticanti di qualsiasi disciplina

Come ovviare?

Quale risposta dà Evagrio? Le lacrime/la preghiera e il lavoro/la meditazione della morte.

E’ così diverso da ciò che diciamo noi? Traduciamo : le lacrime= consapevolezza della sofferenza nostra e del mondo

preghiera e lavoro= zazen e samu

meditazione della morte : chi pratica i koan sa bene quanti di essi riguardano la morte

Dunque cambiano parole, grammatica e sintassi ma affiorano gli stessi concetti

BASTA? NO NON BASTA

Evagrio fa notare come l’opposto dell’accidia cioè l’eccesso di dedizione, l’entusiasmo, l’idea che la nostra pratica sia la soluzione definitiva, siano atteggiamenti altrettanto dannosi.

Pensare che la mia pratica, le mie attenzioni, i miei comportamenti la mia “verità” valgano per tutti porta all’egocentrismo, alla sopraffazione all’isterilirsi dei rapporti interpersonali. E questo vale non solo per noi come individui ma anche per noi come comunità. Lo vediamo con i nazionalismi ed il razzismo che di nuovo si affacciano imperiosi. Con la tendenza delle comunità religiose o di pratica (anche in ambito buddhista) a considerarsi autosufficienti e senza la necessità di confronto costruttivo. Se siamo convinti di avere “ sgamato” tutto, dobbiamo essere convinti che anche gli altri hanno sgamato tutto. Pena l’allontanamento dalla via del bodhisattva, dalla via della santità. Ognuno sgama secondo i propri bisogni

Come esortarci allora da praticanti zen per evitare l’accidia e l’eccesso di dedizione? ATTENZIONE SENZAA OSSESSIONE questo lo sappiamo bene ma anche

ricordando una virtù ormai desueta: la modestia, saper essere gli ultimi stando con gli ultimi. Aprire le finestre al fuori di noi, all’aiuto e alla comprensione dell’altro senza merito. Coltiviamoci così e saremo sulla giusta via per salvarci e per salvare con noì il mondo!

Pubblicato da zenrinzairoberto

nato a Trieste 12.1.47, residente da 2 anni in Tunisia, pediatra in terapia intensiva neonatale fino al pensionamento, successivamente in missioni all'estero come medico: Zimbabwe, India, Pakistan, Afghanistan. Pratica zen rinzai da 30 anni presso il bukkosan zenshinji di Orvieto, guida spirituale M° Taino già allievo di Yamada Mumon Roshi Qualche annofa, dopo aver terminato il percorso formale (che non finisce mai e forse...mai inizia) ho scelto l'ordinazione monacale. Nonno sei volte. Padre tre volte. Sposato una volta.