: LA CARITA’
Poco tempo fa negli incontri interreligiosi in Tunisia si è parlato della carità. Alcuni cattolici hanno fatto presente le opere che vengono svolte da Caritas e personale monastico in tutto il mondo. Il rappresentante Bahai ha sottolineato che nella loro pratica le forze vanno indirizzate a far sì che ognuno si emancipi e raggiunga la propria eccellenza. I mussulmani hanno addirittura la carità istituzionalizzata e obbligatoria, la zakat. Come buddhisti cosa dire? Se vogliamo affrontare la questione in modo analitico può valere anche per noi la distinzione di A. Rosmini in carità temporale che riguarda i bisogni urgenti fisici, in carità intellettuale che mira a migliorare le capacità intrinseche degli individui, in carità spirituale intesa come aiuto e indirizzamento alla consapevolezza della propria vera natura. Tutte e tre le accezioni di carità sopradescritte sono senza dubbio buone e da praticare, facendo prevalere volta a volta il bisogno più urgente. Di più: nel linguaggio buddhista il termine carità si può tranquillamente esprimere come compassione, generosità, benevolenza. Ma qual è per noi il suo valore intrinseco? E’ quello dell’atto puro, l’atto che non prevede un ritorno né come merito, né come benemerenza, né come gratitudine. L’atto che sgorga spontaneo dalla natura universale che è in noi e non prevede riconoscimenti di alcun tipo. Esattamente l’atteggiamento opposto alla elemosina! Questo è veramente importante! Esortiamoci allora a sviluppare questa modalità di comportamento in riferimento non solo alla carità ma a tutto il nostro agire così, forse, potremo ridurre la nostra sofferenza e quella del mondo!